Assolutamente no, secondo gli autori del libro edito da I-Com e presentato oggi a Roma. Il settore del farmaco vale l’1,5% del Pil, oltre il 4% dell’export, il 6,5% della R&S, oltre il 50% del valore aggiunto e dell’export dell’intero high-tech italiano. Ecco perché bisogna fermare il disinvestimento.
18 DIC – Cosa accadrebbe all’economia italiana se l’industria farmaceutica di colpo scegliesse di abbandonare l’Italia? Prende il via da questa domanda, tutt’altro che retorica il libro di I-Com (Istituto per la competitività) presentato oggi a Roma, dal titolo "Perché l’Italia non può fare a meno dell’industria farmaceutica". I dati illustrati nel volume curato da Stefano da Empoli e Davide Integlia e edito da Rubbettino, documentano come proprio l’industria farmaceutica risulta essere la più internazionalizzata di tutti i comparti produttivi sia per propensione all’export che per capacità di attrarre capitali esteri.
Innanzitutto, secondo i calcoli di I-Com, tra apporto diretto e indiretto, l’Italia senza questo settore perderebbe nell’immediato l’1,5% di Pil, quasi 300.000 occupati, più di 5 miliardi di entrate fiscali l’anno. Ma ciò che verrebbe a mancare potrebbe essere molto di più, in una prospettiva dinamica.
Come si evince dal volume, negli ultimi 5 anni il nostro Paese ha scalato diverse posizioni in Europa per produzione di farmaci, passando dal quarto al secondo posto, dietro la Germania, dimostrandosi dunque un settore con forti possibilità di crescita. In gran parte spinta dall’export, di cui costituisce oltre il 4% dell’ammontare complessivo. Ancora più decisivo, però, il contributo alla ricerca e sviluppo, pari al 6,5% del totale nazionale. Ma il dato, sconosciuto ai più, che sorprende maggiormente è il ruolo dell’industria farmaceutica rispetto al settore high-tech, di cui rappresenta il 52,1% del valore aggiunto e il 54,3% dell’export. Di fatto, come riportato dagli autori del testo, senza la farmaceutica non ci sarebbe un settore manifatturiero high-tech in Italia degno di questo nome.
Dall’analisi risulta, inoltre, che ci sarebbero margini per ulteriori performance positive. Basti pensare che se il settore aumentasse l’intensità di spesa in R&S, allineandola alla media europea (oggi è in media più bassa nel confronto con gli altri Paesi), oltre agli effetti dire